Tra quanto ho avvertito durante le splendide (e splendidamente organizzate) giornate del Decennale OA a Messina c’è il fatto che sembra sia giunto il momento di smettere di parlare di Gold e Green e di lasciar perdere i diversi colori dell’Open Access… la classificazione degli approcci all’accesso aperto pare aver creato, nel tempo, qualche malinteso e distorsione. Come sottolinea il Rettore dell’Università di Liegi, Bernar Rentier, Gold Open Access è un termine ormai utilizzato in maniera distorta, è diventato un sogno, un’utopia. Elena Giglia, Università di Torino, conferma la sua impressione che non ci sia chiarezza sulle due strade e che a volte queste siano intraprese in modo non trasparente, con l’identificazione errata di Open Access con il Gold Open Access.
L’interpretazione data dagli editori, durante la pre-conference, all’Open Access, in effetti, non sembra semplificare le cose; si riferisce prevalentemente a una loro interpretazione della “Gold Road” e pare fornire l’indicazione che i ricercatori debbano sempre pagare per pubblicare, se si vuole avere accesso aperto.
Cameron Neylon, Director of Open Access Advocacy, Public Library of Science, stressa l’importanza delle scelte istituzionali e consiglia un approccio di tipo “portfolio”, in luogo di una dicotomia tra giallo e verde, una combinazione di (colori e) politiche per massimizzare gli aspetti fondamentali della disseminazione (accessibilità, rapidità, possibilità di riuso, valore, qualità). La disseminazione infatti è cambiata e sta cambiando, il pubblico è nuovo e più ampio e distribuito, ci sono molti contenuti e quindi l’impatto è maggiore. Non più scelte in una sola direzione, quindi, ma una combinazione tra Institutional Repositories, Disciplinary Repositories, Subscription Publishing, Open Access Publishing.
Ho scritto, con Benedetta Alosi, un report dal Decennale Open Access di Messina. E’ disponibile in accesso aperto su Bibliotime.